lunedì 11 luglio 2016

Eterni secondi

In qualunque sport, le competizioni ad eliminazione diretta sono spesso quanto di più antimeritocratico possa esistere, e forse anche per questo sono così imprevedibili ed affascinanti. In una manciata di minuti, a volte anche meno, si concentra tutto l'impegno profuso dagli atleti in anni di fatica e sudore.

Neanche il calcio fa eccezione alla regola per cui, spesso e volentieri, vediamo degli emeriti sconosciuti alzare la Coppa del Mondo o vincere fior di trofei in seno a un collettivo che funziona. D'altra parte, capita altrettanto frequentemente vedere giocatori nel pieno della loro forma e maturazione calcistica chiudere la stagione senza l'ombra di un trofeo a livello di squadra. Quest'anno è successo ad Antoine Griezmann, il "piccolo diavolo" che con i suoi gol aveva fatto sognare i tifosi dell'Atletico Madrid prima e quelli della natìa Francia poi, ma che ha dovuto inchinarsi al destino a pochi metri dal traguardo.
Poche settimane prima, dall'altra parte dell'Atlantico, un altro piccoletto dal mancino fatato viveva il suo personale dramma sportivo; Lionel Messi, fenomeno del calcio moderno e uno dei giocatori più vincenti della storia, sia a titolo personale che di club, toppava per l'ennesima volta la vittoria di un titolo con la sua Nazionale, sbagliando un rigore determinante per l'esito di una delle partite più importanti della sua vita.

Storie parallele di due giocatori che, al di là della fisionomia e delle caratteristiche tecniche, hanno in comune molto più di quanto suggerisca la loro diversa origine. Entrambi, infatti, sono stati "rifiutati" calcisticamente dal Paese che li aveva visti nascere e crescere; troppo piccoli e gracili per poter competere ad alti livelli, si diceva. Entrambi sono stati costretti a rincorrere un destino che sembrava impossibile, e lo hanno fatto nella stessa terra di adozione: la Spagna. La storia di Messi e del suo legame con il Barcellona e la Catalogna è nota; quella di Griezmann è invece vincolata alla Real Sociedad, club che lo porta dall'altra parte dei Pirenei quando ha solo 14 anni. L'esordio in prima squadra arriva nel 2009, in Segunda Divisiòn, e la prima rete poco dopo, il 29 settembre dello stesso anno. Da quel momento è un'escalation, e di lì a pochi anni il giovane Antoine diventa uno dei talenti più puri espressi dal campionato spagnolo.

I principali club di Spagna e d'Europa non possono farsi sfuggire un giocatore del genere, e infatti ben presto arriva la chiamata dell'Atletico Madrid di Diego Pablo Simeone. L'impatto è devastante, le petit diable segna subito 22 gol al primo anno con i colchoneros, ripetendosi l'anno successivo; dato ancora più clamoroso se si considera lo stile di gioco voluto dal tecnico argentino, impostato sull'organizzazione difensiva capillare e sulle ripartenze, e quindi non in grado di offrire alle punte la stessa mole di occasioni da gol che hanno due squadre come Barcellona e Real Madrid. Antoine canta e porta la croce; non solo si conferma un efficacissimo realizzatore, ma diventa anche determinante in fase di pressing e di rifinitura.

Verso maggio 2016, però, iniziano le prime delusioni. L'Atletico, fino alla fine in corsa per il titolo, perde colpi nelle ultime partite di campionato a vantaggio del Barcellona, che si aggiudica la Liga all'ultimo respiro. Anche la finale di Champions contro gli odiatissimi rivali del Real Madrid si rivela una delusione bruciante, con Griezmann che nei 90' regolamentari calcia un rigore contro la traversa; la lotteria finale dei rigori sarà poi fatale per i biancorossi.

Due settimane dopo, reduce da una stagione dal sapore agrodolce, Antoine approda agli Europei di Francia. Vi giunge con la determinazione di chi è andato via di casa presto e perciò sente di dovere qualcosa al proprio Paese, che gli ha dato i natali ma non lo ha visto crescere come uomo e come giocatore; preoccupazione condivisa, a qualche migliaio di chilometri di distanza, dal suo "alter ego" Messi, che si gioca la Copa America da strafavorito con la sua Argentina.
Antoine, come Leo, sul campo ha una marcia in più rispetto agli avversari; segna a raffica e porta di peso la sua Francia in finale contro la sorpresa Portogallo, mettendo a referto 6 reti in altrettante partite. Ma ancora una volta il destino si rivela beffardo e, in una finale opaca, l'unica vera occasione capitata sulla testa del folletto francese sfuma pochi centimetri oltre la traversa. La stessa, maledetta, impietosamente ferma traversa che, in una serata americana di qualche giorno prima, aveva visto impennarsi verso la tribuna un pallone malamente calciato dal giocatore più forte del mondo.
Per ogni perdente di successo, abbiamo un vincitore inaspettato, e nemmeno questa storia sfugge alla regola. Capita così che, poco prima dei calci di rigore, un tale Éderzito António Macedo Lopes (per gli amici Éder, per tutti gli altri un signor nessuno), guineano naturalizzato portoghese, indovini il tiro della domenica e porti la sua Nazionale in vetta all'Europa per la prima volta nella sua storia. Oppure che una squadra che agli Europei neanche doveva esserci, l'Islanda, rimandi a casa i ben più quotati inglesi e riesca ad arrivare ai quarti di finale di una competizione internazionale alla quale mai prima aveva partecipato. Lo sport, in questo senso, è una meravigliosa lezione di vita; non sai mai cosa aspettarti, ma puoi stare certo che, lavorando duramente, si possono raggiungere traguardi insperati.

Onore, quindi, a tutti i vincitori, al di là dei meriti individuali. Mai dimenticarsi, però, del valore degli sconfitti, perché non è un rigore sbagliato o un gol mancato ciò che distingue un giocatore ordinario da un campione; per giudicare, bisogna aspettare la fine della storia. E chissà, magari un giorno anche gli eterni secondi arriveranno primi.
  

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